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lunedì 15 giugno 2015

La scuola è finita. Che amarezza.
La bocciatura.

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A guardare i tabelloni con le promozioni oggi non c’erano i bocciati. Quale gesto estremo di pietà avevano già ricevuto la telefonata del vicepreside. Come per le vittime di guerra il ministro ha chiamato le famiglie ad informare che i loro figli non ce l’hanno fatta: sono caduti sul campo di battaglia chiamati a combattere per la Patria e l’Onore. Non c’era quindi neppure K. Non ha superato la Prova. Bocciato in prima media per non aver elencato correttamente le capitali d’Europa. Per non aver saputo disegnare con le squadrette un pentagono regolare. Per aver preso in italiano 4 (quattro) e 7 (sette) in ritmo giambico perciò insufficiente. Insufficiente appoggio anche in consiglio di classe: troppo sfrontato, altero, distaccato, rigido, ribelle: troppo K! K. è diventato K. ogni giorno di una vita sfortunata che lo ha costretto a indossare molte armature e crescere più in fretta, per resistere. Ha sviluppato grandi capacità. Potrebbe insegnare per esempio a molti come vivere e crescere in una famiglia in cui si comunica urlando, si respira odio, si prova dolore fisico.

Nella “Trilogia della città di K” di Kristof, l’ufficiale chiama i due gemelli che facevano il loro esercizio di immobilità. Ma loro non rispondono. Rimangono fermi. L’ufficiale insiste, li aveva già visti fare esercizi di altro tipo. Li ha visti picchiare l’un l’altro con la cintura. - Era il nostro esercizio di irrobustimento - rispondono. - Ma perché fate tutto questo? - Per abituarci al dolore. - Il dolore vi dà piacere? - No. Noi vogliamo soltanto vincere il dolore, il caldo, il freddo, la fame, tutto quello che fa male.

In questa scuola K. non ha trovato nulla di utile. La scuola di oggi non è più un’opportunità di riscatto sociale. Non dà più alcuna certezza. Qualche decennio fa, in una società rurale che ambiva a diventare industriale, la scuola consentiva a chi ci dedicava tempo ed energia, benché privo di grandi mezzi,  di munirsi degli strumenti necessari per ritagliarsi un ruolo sociale. Quindi trovare un lavoro, pagarsi una casa. Gli insegnanti occupavano un gradino sociale in genere più alto di quello dei loro allievi e sceglievano la professione per inclinazione personale, passione o desiderio di far parte di quella che appariva una élite. Oggi al contrario la scuola è un luogo dove tenere segregati uomini e donne per decenni onde evitare che entrino in quel mondo del lavoro in cui non c’è spazio. Gli insegnanti occupano spesso un gradino sociale più basso di quello dei loro allievi e scelgono la professione perché non sanno cos’altro fare: perché la scuola, ormai sterile e totalmente autoreferenziale (ri)produce se stessa. La scuola infatti, sopra la quinta elementare (leggi Pasolini in proposito), non dà più alcuno strumento. Quello che vi si insegna è ormai a disposizione libera di tutti, e il 90% è del tutto inutile.

I genitori mandano a scuola i figli però ancora convinti che sia un bene. Allo stesso modo la domenica mattina (o a Pasqua e Natale) vanno in chiesa ad assistere ancora una volta alla transustanziazione. La scuola è diventata infatti il grande rito della società contemporanea in cui ogni giorno e ogni anno si mette in scena la Rappresentazione e, rovesciando il dogma cristiano, si assiste alla trasformazione del sangue in vino da pasteggio, e del corpo in pane secco. Gli officianti-sacerdoti-secondini nel corso di ogni ciclo religioso erogano, giudicano, sanzionano. Infine promuovono o bocciano per intima convinzione personale, cioè nella più totale discrezionalità.

Una scuola cosiffatta ha effetti devastanti. Provoca illusione, presunzione e frustrazione: così diceva Pasolini il 18 ottobre 1975 al Corriere della Sera proponendo una soluzione per combattere la criminalità:

“Quali sono le mie due modeste proposte per eliminare la criminalità? Sono due proposte swiftiane, come la loro definizione umoristica non si cura minimamente di nascondere.
1) Abolire immediatamente la scuola media dell'obbligo.
2) Abolire immediatamente la televisione. Quanto agli insegnanti e agli impiegati della televisione possono anche non essere mangiati, come suggerirebbe Swift: ma semplicemente possono essere messi sotto cassa integrazione.
La scuola d'obbligo è una scuola di iniziazione alla qualità di vita piccolo borghese: vi si insegnano delle cose inutili, stupide, false, moralistiche, anche nei casi migliori (cioè quando si invita adulatoriamente ad applicare la falsa democraticità dell'autogestione, del decentramento ecc.: tutto un imbroglio). Inoltre una nozione è dinamica solo se include la propria espansione e approfondimento: imparare un po' di storia ha senso solo se si proietta nel futuro la possibilità di una reale cultura storica. Altrimenti, le nozioni marciscono: nascono morte, non avendo futuro, e la loro funzione dunque altro non è che creare, col loro insieme, un piccolo borghese schiavo al posto di un proletario o di un sottoproletario libero (cioè appartenente a un'altra cultura, che lo lascia vergine a capire eventualmente nuove cose reali, mentre è ben chiaro che chi ha fatto la scuola d'obbligo è prigioniero del proprio infimo cerchio di sapere, e si scandalizza di fronte ad ogni novità). Una buona quinta elementare basta oggi in Italia a un operaio e a suo figlio. Illuderlo di un avanzamento che è una degradazione è delittuoso: perché lo rende: primo, presuntuoso (a causa di quelle due miserabili cose che ha imparato); secondo (e spesso contemporaneamente), angosciamente frustrato, perché quelle due cose che ha imparato altro non gli procurano che la coscienza della propria ignoranza.”

Sono critiche profonde, e non le sole, al sistema dell’istruzione obbligatoria di Stato, che gli insegnanti devono non soltanto conoscere, ma anche considerare pienamente in ogni loro azione e decisione ma soprattutto prima di alzare un braccio per decidere chi sì e chi non deve proseguire alla classe successiva, devono capire che stanno per incidere concretamente nella vita di un individuo e della sua famiglia con conseguenze imprevedibili. Quello che colpevolmente omette il legislatore deve attuarlo l’insegnante facendosi una domanda di buon senso: “che diritto ho di fare del male a qualcuno?”

AL

sabato 28 marzo 2015

Ogni riforma della scuola è destinata a fallire.


Dopo anni e anni di scuola si è consolidato il dogma che la scuola sia fondamentale per la società al punto che la frequenza scolastica è passata ad essere, non più solo un’opportunità o un diritto, ma un dovere per il cittadino, il quale è ormai costretto, per un motivo o per l’altro, a dedicarci gran parte della sua esistenza, modificando a questo scopo le sue abitudini, le sue prerogative e il suo carattere. 
Analogamente crediamo ciecamente che impartendo un’educazione e un’istruzione uguale per tutti la scuola pubblica rappresenti l’ambiente primario delle pari opportunità: il professore di mia figlia racconta: ≪la scuola è bella, è gratuita, serve per dare a ognuno di voi l’opportunità di crescere e imparare senza discriminazioni≫. Tutto falso. La scuola in generale non è bella, non insegna quasi niente di utile, sicuramente non è gratuita, anzi rappresenta una voce di costo enorme per la società, ed è il luogo dove si attuano e si perpetuano gravi discriminazioni. 

Ma la scuola è anche lo strumento principale per la salvaguardia e il consolidamento dei privilegi sociali e per la sopravvivenza di un sistema economico fondato sull’omologazione della domanda e sul consumo di beni futili. Per questo motivo gli Stati, in ogni parte del mondo, dedicano ai propri sistemi scolastici, enormi sforzi e risorse senza offrire nessun vero beneficio perché tutto ciò che l’individuo impara di utile lo fa fuori dalla scuola, o alle volte incidentalmente a scuola solo perché ≪la scuola è diventata un luogo in cui si passa segregati una parte sempre crescente della propria vita≫; (Ivan Illich).


Il prevedibile fallimento di ogni riforma scolastica è dovuto a quatto fattori principali:
  1.  la resistenza di un’ampia fetta di popolazione;
  2. il potenziale, costante, aumento della spesa e la contestuale progressiva mancanza di risorse economiche;
  3. l’inadeguatezza intrinseca del personale docente (G. Papini);
  4. il tempo di latenza superiore alla lungimiranza di qualunque Stato o governo (≪Non possiamo pretendere di sapere di che cosa avranno bisogno i nostri bambini e i nostri giovani, non oggi o domani, ma fra un anno, dieci anni, vent'anni, per il resto della loro vita...≫; G. Esteva).
La dimostrazione sta nella evidente totale sterilità e inutilità delle riforme che si sono susseguite in Italia negli ultimi anni. Valanghe di leggi e regolamenti che non hanno modificato nulla di sostanziale e che testimoniano solo il fatto che, coinvolgendo milioni di individui, la scuola è diventata uno dei principali terreni di manovra politica e ideologica.

    sabato 27 dicembre 2014

    I "10 Comandamenti" di Benigni: un caso emblematico di infezione del Sistema


    Ho visitato da poco la mostra di Pierpaolo Mittica a Pordenone. Si tratta di alcuni reportage coi quali il fotografo mette in evidenza le profonde contraddizioni della società contemporanea e la disperazione, la povertà profonda in cui vivono intere popolazioni. Tra le altre foto, bambini e anziani che si guadagnano qualcosa nelle discariche a cielo aperto, cercando tra i rifiuti della società dei consumi quelli che possono di nuovo rientrare nel circuito.


    Sono foto "di oggi", che ho visto proprio mentre si discuteva dei compensi milionari elargiti dalla RAI a Roberto Benigni per quella che a me è sembrata un'operazione finanziaria sicura, garantita dalla fideiussione resa con totale apatia da milioni di italiani.


    Quattro milioni di euro netti si dice... - "Ma ne ha fatti guadagnare nove!"
    Dopo il primo smarrimento tutto pare giustificato. - "Se li è guadagnati onestamente" - sento dire da qualche commentatore.

    Ma non c'è proprio niente di giustificabile. Benigni ha fatto guadagnare la RAI, che già si finanzia con una tassa sul possesso del televisore, con nove milioni di euro versati dalle aziende per indurre all'acquisto di prodotti sul cui prezzo hanno già caricato i costi. Quei costi li paghi tu. Altri nove milioni di euro sono usciti dalle tasche di chi lavora faticosamente per essere immessi in un circuito parassitario che stiamo così continuando ad alimentare.

    AL


    la scuola di Stato e Don Milani

    Quando nacque la scuola italiana, con il regio decreto legislativo del Regno di Sardegna n. 3725 del 13 novembre 1859, l'Italia "unita" non c'era ancora. Resisteva lo Stato Pontificio con la sua potenza culturale espressa nella capillare rete dei centri di istruzione cattolica. 

    Il Regno aveva già una scuola pubblica sulla quale un "magistrato" vigilava al fine di evitare possibili ingerenze degli ordini religiosi. 

    Qualche anno prima infondo le monarchie di tutto il mondo avevano (quasi) ottenuto la soppressione dell'ordine dei Gesuiti, da sempre dediti all'attività educativa: quello che si voleva era una scuola fortemente centralista che superasse le enormi differenze culturali della penisola. 

    L'ostilità verso il progetto di Don Milani - e lo dico da non credente - fu a mio parere nient'altro che uno dei tanti episodi del perenne scontro tra Stato e Chiesa. Uno scontro che si tiene tutt'ora sulla pelle degli italiani e che ha impedito la nascita di una scuola veramente autonoma, espressione - come dev'essere! - di una specifica, diversificata, sensibilità sociale, politica e culturale.

    AL

    venerdì 21 dicembre 2012

    Il capitalismo e la tecnica


    Emanuele Severino



    Il capitalismo è fondato sul mercato, sulla vendita di merci che non devono essere né troppo reperibili (si può vendere l'aria?) né troppo rare, e sulla tecnica: ma la tecnica mira ad aumentare la capacità di realizzare scopi... all'aumento della potenza. Ma l'aumento della potenza è eliminazione della scarsità ed è perciò antitetica al capitalismo...

    sabato 28 aprile 2012

    Scuola:  la bocciatura inutile e dannosa


    • Nel 2011 la dispersione nelle scuole secondarie di primo grado è salita al 5,5%; al 14,9% nelle scuole secondarie di secondo grado: sono 434.000 gli studenti che hanno abbandonato la scuola (repubblica.it).
    • L'OCSE ha quantificato il danno economico derivante dalle bocciature a scuola: "ogni bocciatura costa agli stati in media tra 10.000 e 15.000 dollari all'anno.

    L'alunno "bocciato" è molto spesso quello che poi abbandona gli studi prematuramente. Viene bocciato perché non ha raggiunto "gli obbiettivi" da consigli di classe che all'unanimità o a maggioranza ritengono di farlo proprio per il suo bene. Ho potuto toccare con mano invece quanto sia inutile quest'anno aggiuntivo passato ad ascoltare, e costretto a ripetere, le stesse cose che lo annoiavano l'anno prima. Senza alcun risvolto positivo, ma anzi con un crescente divario tra i suoi bisogni e quelli dei compagni.


    Le mie proposte di discussione per un rinnovamento della scuola nella fascia di età dei 10/14 anni, sono centrate su due interventi che scardinerebbero l'attuale sistema:
    • abolizione del valore legale del titolo di studio
    • abolizione delle classi

    L'abolizione del valore legale del titolo di studio [primo "dogma"] andrebbe accompagnata con l'abolizione del voto e della bocciatura, e dall'adozione di strumenti e metodi di verifica orientati a far emergere qualità e talenti. La fase finale dei percorsi dovrebbe produrre giudizi approfonditi in un processo aperto allo stesso studente e alla famiglia divenbtando il solo elemento di valutazione del percorso di formazione.

    La tradizionale impostazione per nuclei omogenei sostanzialmente fissi (le classi) andrebbe abolita [secondo "dogma"] a favore della istituzione di corsi che lo studente è tenuto (quando necessario) o può frequentare con un piano individuale elastico concordato, e modificato tramite periodici processi di feedback, con la scuola e la famiglia.






    Anche “Facebook” ha capito che il concetto di amicizia era molto vago e ci ha consentito di etichettare i nostri “amici” in varie categorie (“Google” sta usando meglio il concetto di “cerchia”). Ciò premesso mi sento di invitare alcuni di voi (i più giovani di solito) a non commettere l’errore opposto a quello che per anni ha commesso (o commette) la mia generazione che si è tenuta alla larga dai Social Network etichettando, appunto, l’ambiente come troppo frivolo o poco consono. 

    L’errore opposto: mi riferisco all’idea che questo sia “il vostro” ambiente: un ambiente nel quale le differenze culturali e i ruoli si annullano o si confondono in un’enorme cloaca mediatica e in cui una profonda riflessione e una cazzata stanno sullo stesso livello per il solo fatto che sono esposte nella stessa pagina. La sfida attuale è quella di saper distinguere coi propri mezzi il valore di una informazione o di una espressione. 

    L’effetto sorprendente è che, proprio qui, le distanze tra gli individui aumentano invece che diminuire perché aumenta il divario tra la personale percezione delle cose.